Grazie per la visita.
Di nulla, complimenti per l’ufficio.
Grazie. (Ride)
Oggi sono qui per proporre una nuova sfida. Nella maggior parte delle sessioni di “Iwata Chiede”, si è discusso di software o hardware specifici, ma dato che adesso siamo in stretto contatto con PlatinumGames1, ho pensato che sarebbe interessante concentrarci su PlatinumGames come gruppo di sviluppo, piuttosto che parlare di un singolo prodotto. Ecco perché ho chiesto di incontrarvi. Non so bene cosa succederà ma ho buone aspettative. Grazie a tutti.1. PlatinumGames Inc.: società di sviluppo di videogiochi fondata nel 2006, momentaneamente impegnata nello sviluppo di The Wonderful 101 e Bayonetta 2 per la console Wii U. Sede centrale: Osaka.
A lei!
Siete entrambi figure di rilievo nel mondo dei videogiochi e sono certo che molti dei nostri lettori vi conoscono già, però vi dispiacerebbe presentarvi ugualmente?
Io sono Minami, presidente e amministratore delegato di PlatinumGames. Lavoro nel settore da 25 anni. Per molto tempo mi sono occupato di sviluppo in una casa editrice di videogiochi, poi circa sette anni fa, per una serie di ragioni, ho fondato PlatinumGames.
Quali ragioni?
Il motivo principale per cui ho fondato questa società era il desiderio di avere un gruppo specializzato nella creazione di qualcosa. Come sviluppatore indipendente, voglio riuscire a ottenere quello che le grandi case editrici non riescono a fare. Per trasformare questo gruppo davvero unico di creatori in una squadra di prima classe, ho dovuto sospendere il mio lavoro di sviluppatore e dedicarmi a rappresentare l’azienda.
Grazie mille. Inaba-san?
Io sono Inaba e faccio parte di PlatinumGames. Come Minami-san, provengo da una casa editrice di videogiochi e sono nel settore da ormai vent’anni. Ho iniziato come programmatore e da dieci anni lavoro invece come produttore. Mi sono occupato prevalentemente di titoli originali.
Non capita a tutti di lavorare su titoli originali come fa lei.
Per come sono fatto, ho sempre bisogno di nuovi stimoli, ma, allo stesso tempo, sono determinato e ho mille idee su come trasformare le mie creazioni in prodotti. Non invidio quindi il lavoro che tocca a Minami-san, deve essere parecchio faticoso! (Ride)
Niente affatto. (Ride)
Questo perché siete consapevoli dei vostri ruoli e riuscite a immedesimarvi uno nell’altro, come in un gioco di ruolo2.2. Gioco di ruolo: gioco in cui si assume il ruolo di un personaggio.
Esatto. Inoltre, in quanto produttore, mi arrivano tantissime richieste da parte dei direttori, quindi sento il bisogno di scaricare lo stress in qualche modo. Minami-san, l’amministratore delegato, è un gradino sopra di me, perciò scarico il mio stress su di lui. Mi chiedo dove vada a sfogarsi lui! (Ride)
(Ride)
Bene, adesso vorrei sapere come vi siete avvicinati al mondo dei videogiochi. Quando abbiamo iniziato a creare videogiochi, il settore non era ai livelli di adesso, quindi immagino che, dal primo approccio a oggi, siano successe molte cose interessanti. Minami-san, lei come è entrato in questo mondo?
Compio 50 anni quest’anno, quindi i miei ricordi infantili sono legati alla sala giochi. Allora si giocava a Space Invaders3 e a Donkey Kong4 e a me bastava giocare, non avrei mai immaginato che sarebbe diventata la mia professione.3. Space Invaders: gioco sparatutto comparso nelle sale giochi nel 1978.4. Donkey Kong: gioco uscito nelle sale giochi nel 1981. La versione Famicom (il nome giapponese di NES) è stata pubblicata contemporaneamente al sistema nel luglio del 1983.
In altre parole, non immaginava neanche di poter lavorare in una società di videogiochi.
Certo, allora non esistevano scuole di videogiochi, quindi il percorso per lavorare nel settore non era delineato come lo è oggi.
Anche i più assidui frequentatori delle sale giochi non avevano idea di chi ci fosse dietro ai videogiochi o come venissero realizzati. Era un vero mistero.
Esatto, ecco perché non pensavo che fare videogiochi potesse diventare un lavoro. Poi, dopo il diploma, mi sono iscritto a una scuola di design. Ricordo che un giorno mi avevano assegnato un lavoro di gruppo insieme ad alcuni colleghi. Ci incontrammo a casa mia e qualcuno portò un NES per giocare durante le pause.
Ops, non è un buon inizio! (Ride)
No, infatti! (Ride) Ma è così che ho scoperto Super Mario Bros. Invece di usarlo solo nelle pause, ci siamo completamente immersi nel gioco!
Di certo non avrete fatto progressi con il lavoro di gruppo, dico bene? (Ride)
Già. Ma abbiamo fatto progressi con Super Mario! (Ride) Questa è la storia del mio primo approccio con un videogioco in casa, ma anche allora, non pensavo di lavorare nel settore.
Come è arrivato a lavorare in una società di videogiochi?
Studiando design, mi ero molto interessato alla grafica dei primi computer e all’informatica in generale. Così quando iniziai a cercare lavoro, volevo trovare un’azienda dove poter usare un computer e sfruttarne tutte le potenzialità. Ne trovai tre in zona Kansai ed erano tutte società di videogiochi.
Capisco.
È così che ho iniziato il mio percorso in Capcom. La cosa che mi ha stupito di più, quando sono entrato a far parte dell’azienda, era il modo in cui creavano immagini con i pixel. La mia prima reazione è stata: “Che roba è questa?
Ci sono degli aspetti comuni tra la pixel art e il disegno con materiali tradizionali, ma sono cose differenti.
Completamente differenti. Quello è stato il mio primo grande shock culturale.
Qual è stato il primo progetto a cui si è dedicato?
Quando ho iniziato a lavorare, Capcom si occupava prevalentemente di giochi arcade. Io ero nel reparto dei giochi di consumo, quindi il mio primo incarico è stato prendere un titolo da sala giochi e…
Trasferirlo.
Esatto. Il primo anno, analizzavo i titoli di consumo realizzati da altre aziende e, essendo un designer, creavo pixel art. Poi, a un certo punto, ho capito di non avere talento nel campo.
È strano sentire uno come lei dire di non avere talento. Intende dire che non era tagliato per la pixel art?
Esatto. Così ho parlato col mio capo e lui ha detto: “Allora che ne pensi di fare progettazione?”
E quello è stato il punto di svolta.
Esatto, era il lavoro adatto a me e mi ha permesso di diventare progettista, direttore e infine produttore.
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