Qual è la vostra definizione di “gioco di ruolo”?
Beh, ci sono alcuni elementi fondamentali: una visione del mondo particolare, una trama, le sequenze animate, i personaggi. L’aspetto essenziale è la presenza di personaggi con una loro individualità e una visione unica. L’unione di questi due elementi, che vanno a formare due vette gemelle di un’unica montagna, definisce l’essenza di un gioco di ruolo. Nell’era di Square spesso pensavo che sarebbe stato bello realizzare un film interattivo, ma oggi, a dire la verità, la penso diversamente. Cerco sempre di mantenere le due vette gemelle, ma allo stesso tempo amo portare gli RPG in territori inesplorati.
Ora che ci penso, tu hai realizzato il film di Final Fantasy12, e dopo è nato il gioco online. Penso che questi due prodotti abbiano lasciato un’eredità significativa. Le competenze sviluppate all’epoca hanno lasciato il segno sulla cultura videoludica, e ci hanno aperto nuove strade. 12Final Fantasy: The Spirits Within è un film d’animazione digitale diretto da Hironobu Sakaguchi e uscito nel 2001.
Ma durante la lavorazione, ho capito che i giochi sono giochi. Non possono essere film... (ride)
Un film termina in un momento specifico e ben definito. I giochi, invece, “rimangono in vita” finché il giocatore lo desidera. Non arrivano a una conclusione senza un certo impegno da parte del giocatore, e questo aumenta la profondità dell’esperienza videoludica e lascia maggiormente il segno.
Sono assolutamente d’accordo.
Io sono sempre alla ricerca di nuovi modi per stimolare i nostri fan, nell’obiettivo di scoprire cos’è che permette loro di immergersi completamente nel mondo di gioco. Gli RPG sono un mezzo che permette ai giocatori di proiettarsi nel mondo di gioco, mentre i titoli come Mario ti consentono di accumulare punti esperienza con il solo uso delle mani. Spesso questi due tipi di giochi sono considerati molto diversi, ma in realtà io credo che siano essenzialmente la stessa cosa. Voi due avete un talento particolare per determinati tipi di cose, mentre Miyamoto-san, ad esempio, lo ha per altri. È questo che conferisce a ogni gioco uno stile unico.
Ho l’impressione che nell’ambito degli RPG il lato della programmazione sia stato un po’ trascurato.
Penso che questo sia stato vero per un certo periodo. La priorità era impressionare i giocatori con una grafica spettacolare, e il lato della programmazione era stato momentaneamente messo da parte.
Comunque credo che questo sia un ottimo momento per i giochi di ruolo. Oggi chi si occupa di questo genere è più consapevole dei problemi a cui può andare incontro, il che semplifica molto le cose. Realizzare un RPG continua a essere un lavoro complesso e stimolante.
Capisco. Ora, per concludere l’intervista, vorrei chiedervi come credete che sarà lo sviluppo dei videogiochi in futuro.
Certo. Stavolta ho combinato idee diverse e sperimentato vari approcci, e sono giunto alla seguente conclusione: sviluppare un gioco è come riempire un lago d’acqua, ma una goccia alla volta. Se, però, le gocce d’acqua vengono fuori da uno straccio che viene strizzato, cadranno molto più velocemente. Nel mondo dello spettacolo non esistono risposte certe né un metodo di sviluppo unico e ben definito. Con l’avvento di Internet i modi di proporre un videogioco sono aumentati, e i giochi non vengono realizzati da un’unica persona. Se immaginiamo un gruppo di persone che unisce le forze per strizzare lo straccio, in esso non rimarrà più una sola goccia.
Così tutti gli sviluppatori sanno che esiste una struttura portante, ma ognuno di loro aggiunge a poco a poco le sue idee, e questo crea un oggetto ricco e affascinante. Credo che sia fondamentale costruire un ambiente di lavoro secondo queste “regole”. Con i giochi realizzati da lei, Sakaguchi-san, credo che la struttura portante sia proprio tale elemento, di cui in genere la gente non è consapevole.
Sì, direi di sì. Stavolta, in particolare, nonostante le difficoltà siamo riusciti a goderci il processo di sviluppo, grazie a un’atmosfera generale davvero positiva.
Lei che ne pensa, Takahashi-san?
Per questo titolo abbiamo definito tutti gli elementi necessari per un RPG, calcolato la produttività richiesta a ogni membro dello staff e raccolto dati che indicavano chiaramente quanto tempo avrebbe richiesto il progetto.
Davvero?
Sì. Il mio obiettivo era prepararmi nel modo giusto per quando dovrò conquistare il mondo... In futuro potremo partire da queste basi, anche se ovviamente avremo bisogno anche di nuove idee. Il mio piano era cercare di capire con chiarezza come realizzare un prodotto usando le abilità e il talento particolare a nostra disposizione. Ma ancora non sono arrivato a una conclusione.
Capisco. Ma cosa intende dire con “conquistare il mondo”? Si riferisce al fatto che i videogiochi creati in Giappone possano avere successo in ogni paese?
Beh, i titoli di Mario e Zelda sono stati accolti con entusiasmo in ogni parte del globo. Con gli RPG, però, non è così facile.
Sì, da un certo momento è diventato molto più difficile.
Pensa che uno dei motivi sia il fatto che i creatori tendevano a usare eccessivamente sempre lo stesso approccio?
Credo di sì. Magari non è il modo migliore di dirlo, ma un tempo l’America e l’Europa erano leggermente indietro rispetto al Giappone nello sviluppo dei videogiochi. Oggi, invece, la corsa all’innovazione ha permesso agli altri sviluppatori di accelerare notevolmente il passo, fino a superarci.
Anche il modo di giocare è cambiato, e i metodi tradizionali sono rimasti indietro.
Esatto. E credo che questo valga anche per i giochi di ruolo giapponesi. Ecco perché non c’è altra scelta: è necessario un cambiamento.
Il problema, dunque, diventa decidere quali elementi modificare e quali mantenere.
Detto questo, sono comunque fermamente convinto che il Giappone sia ancora il primo produttore di videogiochi in termini di dettaglio di gioco e di profondità emotiva. Se rimaniamo fedeli a queste due caratteristiche, gli RPG giapponesi riusciranno a mantenere la loro posizione sulla scena mondiale.
È un problema che ci riguarda tutti da vicino. Abbiamo parlato del concetto di empatia e della capacità di trasmettere emozioni ai giocatori. Beh, quando guardiamo una pellicola straniera, sentiamo quella stessa empatia. Magari esistono elementi di altre culture che non ci sono familiari, ma se c’è una “risonanza emotiva” tale distanza può essere superata. Ecco perché, per alcune cose, sono molto ottimista.
Non c’è dubbio che esistano elementi in grado di destare emozioni, indipendentemente dalla loro provenienza. Ma non credo che esistano molte persone in grado di basarsi su di essi in modo efficace e costante.
Ho come la sensazione che la soluzione non sia troppo lontana. Sono convinto che se lavoriamo per risolvere questo problema nell’ambito degli RPG, poi...
... la strada sarà in discesa.
Sì, è uno degli aspetti che noi addetti ai lavori dovremo risolvere. I giochi sono una forma di intrattenimento, ma in troppe occasioni il processo di sviluppo si fonda sulla premessa di non cambiare le cose.
Un esempio tipico è il fatto che la struttura organizzativa non si modifica, se non quando le cose non iniziano ad andare davvero male.
Un’organizzazione può rimanere bloccata anche quando non ha particolari problemi. L’intera struttura esistente dev’essere smantellata e il metodo di sviluppo dei giochi dev’essere rifatto e rimodellato.
Penso che smantellarla non sia facile, ma sono d’accordo sulla necessità di un cambiamento. Ma anziché demolirla, dovremmo ristrutturarla in modo progressivo, modificando gradualmente ogni parte.
Come riparare un aeroplano mentre è in volo.
Ah, è un’ottima metafora. Cercare di sostituire i pezzi difettosi di un aeroplano mentre è in volo è un’operazione estremamente delicata, ma probabilmente un’azione così coraggiosa e precisa è proprio ciò di cui avremmo bisogno.
Quando parlo con voi ho sempre la sensazione che il settore dei videogiochi giapponesi possa raggiungere ancora grandi traguardi. Non vedo l’ora di vedervi conquistare il mondo! Grazie per avermi concesso questa intervista.
Grazie a lei.
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