Anche se Takahashi-san era passato alla "modalità fiducia", le culture creative di Monolith Soft e di Nintendo erano profondamente diverse. Immagino che questo abbia causato molte difficoltà...
Sì, senza dubbio. Quando realizziamo un prototipo alla Nintendo, il sistema di gioco di base riveste un'enorme importanza. Con questo titolo, Takahashi-san iniziò dalla costruzione dell'ambientazione fisica del gioco, mentre noi di Nintendo volevamo partire dalla definizione del sistema di gioco, prima di verificare che la sua visione globale potesse essere riprodotta sulla console Wii. Solo allora avremmo iniziato a realizzare il gioco. È il nostro normale modo di procedere. Lo staff di Monolith Soft, invece, aveva sempre sviluppato i propri titoli partendo da una base molto generica, a cui man mano si aggiungevano vari dettagli.
Quindi le differenze riguardavano fondamentalmente il vostro approccio alla realizzazione dei giochi.
Esatto. Con un titolo di ampia portata come questo, in particolare, non eravamo in grado di calcolare il tempo necessario a costruire i dettagli del gioco partendo da una base così esile, né sapevamo quanto ci avremmo messo a completare il progetto. In più, non riuscivo a determinare con sicurezza quali fossero gli obiettivi precisi per Xenoblade Chronicles. Quindi chiesi al team di realizzare qualcosa che avesse più o meno la qualità del prodotto finito, anche se si trattava di un solo capitolo. Il povero Kojima-san non la prese molto bene.
Kojima-san, come reagì quando Nintendo vi chiese di creare qualcosa in modo così diverso dal vostro approccio abituale? Dev'essersi sentito a disagio...
No, non direi a disagio. Ma lo staff del design di Monolith Soft è formato in gran parte da persone che operano attraverso una sorta di aggiunta continua. Per questo, anche se in realtà hanno già in mente un'immagine della versione finale, tendono a procedere in maniera graduale.
Molti artisti continuano ad aggiungere sempre qualcosa al loro lavoro e più impegno ci mettono, migliore è il risultato.
Sì, è vero. Prima che Yamagami-san ci chiedesse di realizzare solo il primo capitolo, io mi ero prefissato di procedere come al solito, lentamente ma con decisione. Non volevo costringere lo staff a lavorare in modo diverso da quello abituale. È per questo che all'inizio risposi dicendo che sarebbe stato difficile realizzare solo quel primo capitolo. Ma Yamagami-san insisteva, così capii che non avevamo scelta. Dovevamo fare un tentativo.
E come andò a finire?
Beh, lo dico davvero a malincuore, ma alla fine questo metodo si rivelò molto più semplice del nostro!
(ride)
All'inizio cercammo di creare una singola mappa e il risultato ci sembrò buono. Quando realizzammo il primo capitolo, l'intero staff capì chiaramente che questo era il tipo di prodotto finale verso cui potevamo ambire.
Riuscire a visualizzare il punto d'arrivo è molto importante, soprattutto per un gioco di scala così vasta.
Esatto. In più ci rendemmo conto del tempo che sarebbe stato necessario per realizzare una singola sezione e questo fu molto utile. Ma anche davvero faticoso! (ride)
Quando il primo capitolo fu realizzato, con l'aiuto di Kojima-san, lo osservai e pensai: "E il prodotto finito sarà anche migliore di questo!". Riuscii, cioè, ad avere un quadro chiaro del risultato finale. Credo che sia per Nintendo sia per Monolith Soft fu davvero importante riuscire a condividere questa immagine comune.
Bene, ora vorrei fare alcune domande ad Hattori-san.
D'accordo.
Come si sentì quando Yamagami-san le chiese di valutare la sceneggiatura in modo oggettivo?
All'inizio non sapevo bene cosa fare. Takahashi-san ha da tempo moltissimi fan e anche Yokota-san mi aveva descritto i suoi lavori in termini entusiastici.
Quindi Yokota-san, appassionato di giochi RPG, le aveva detto che il lavoro di Takahashi-san era fantastico e poi Yamagami-san le disse che avrebbe dovuto raggiungere il suo livello...
Proprio così! (ride) E poiché sapevo che Takahashi-aveva una lunga esperienza e che la sua fama era ampiamente meritata, mi chiedevo cosa sarei riuscita a fare. Ma in realtà quando visitai per la prima volta la Monolith Soft, vidi il modello e ascoltai la spiegazione della struttura del gioco, il cuore mi batteva all'impazzata.
Dunque anche lei ne era entusiasta.
Sì, molto! (ride) C'era la possibilità di arrampicarsi gradualmente sulla gamba del gigante, la libertà di esplorare qualsiasi zona del paesaggio visibile... La struttura di gioco trasmetteva un profondo senso dell'avventura e questo mi piacque moltissimo. Così iniziai a rivolgere a Takahashi-san ogni sorta di domande, in modo da capire come tale concezione del mondo di gioco potesse trovare una realizzazione concreta.
Dunque il compito di Hattori-san era osservare la sceneggiatura e commentarla in modo oggettivo mettendosi nei panni dei giocatori, che non sapevano molto del mondo che Takahashi-san stava creando. Le fece mai alcune domande totalmente fuori luogo?
No, no, assolutamente. Il suo input mi fu utilissimo. In molti casi, ad esempio, avevo scritto una parte di sceneggiatura e mi ero intestardito su una direzione particolare, ma nonostante il mio entusiasmo Hattori-san affermava di non capire dove volessi andare a parare. Un esempio è l'epilogo del gioco: all'inizio avevamo ideato un finale che per noi era perfettamente logico, ma lei, pur avendo ascoltato la nostra spiegazione, continuava a non coglierne il senso. Allora capii cosa intendesse dire: alcune cose erano per noi perfettamente chiare, ma per i giocatori che non conoscevano il gioco risultavano incomprensibili. Continuare a inserire elementi del genere non avrebbe avuto molto senso, no?
Certo. Se aveste perseverato in quella direzione, i giocatori sarebbero rimasti disorientati.
Un altro problema sollevato da Hattori-san che mi è rimasto impresso riguardava la ragazza di nome Fiora, l'amica d'infanzia di Shulk, l'eroe protagonista. C'è una scena in cui lei dorme profondamente e Shulk le tocca la mano.
Ah, quella parte! (ride)
All'inizio la scena prevedeva che Shulk le toccasse la guancia, per esprimere i suoi sentimenti verso di lei. Ma Hattori-san sottolineò che accarezzare improvvisamente la guancia di una donna che dorme può risultare un gesto un po' inconsueto.
Beh, in fondo i due ragazzi non sono innamorati. Mi sembrava strano che qualcuno con cui non hai una relazione d'amore ti tocchi la guancia mentre dormi. Quel gesto avrebbe rovinato la natura innocente e un po' ingenua del loro rapporto e avrebbe indotto i giocatori a pensare: "Aspetta un po'! Shulk ci sta provando!". (ride)
Pensai che avesse ragione, così alla fine modificammo la scena facendo in modo che Shulk le toccasse la mano. Ci sono stati molti casi del genere, tutti molto interessanti.
In questo modo siamo riusciti a dare a Takahashi-san il nostro punto di vista oggettivo sulla sceneggiatura, nell'obiettivo di permettere ai giocatori di capire meglio il mondo di gioco che aveva concepito.
Sembra proprio il rapporto tra uno scrittore e il suo editor.
Sì, è stato proprio così.
È naturale che quando lavori autonomamente su qualcosa finisci per creare elementi che riflettono i tuoi gusti personali. Che si trattasse di un aspetto emotivo o strutturale, tutte le parti in qualche modo "non equilibrate" sono state individuate da Nintendo, e non posso che ringraziarli per questo.
Il compito di uno scrittore è creare qualcosa di forte e avvincente. L'editor invece deve fare un passo indietro e adeguare il lavoro dello scrittore in modo da farlo puntare nella direzione giusta, con suggerimenti del tipo: "Questo è chiaro, ma non funziona", oppure "Se vuoi che questo passaggio sia chiaro, forse dovresti aggiustarlo". Quando lo scrittore e il suo editor hanno un buon rapporto, le cose procedono nel modo giusto. E penso di poter affermare che in questo caso avete instaurato un ottimo rapporto.
Sono d'accordo. Da questa collaborazione è nato un gioco che penso sarà apprezzato sia dagli appassionati di RPG sia da un pubblico più ampio.
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